Sirio Bandini
Per me parlare di Paolo Bottai è come parlare di me stesso.
Dal 1954 le nostre strade si sono unite senza più allontanarsi e questo grazie all’arte.
La passione fu comune e fu logica conseguenza esporre insieme nella mia galleria od in altre occasioni insieme al prof. Rolando Filidei ed altri artisti.
Di lui ricordo il giovanile accanimento per il disegno. Mi faceva vedere centinaia di lavori a matita, a china, a pastello.
Aspirava ad avere il mio giudizio sugli olii: ritratti, nudi, paesaggi e poi ci fu il periodo che riproduceva con una quasi ossessiva perseveranza Venezia; quella Venezia che era così profondamente penetrata e che era rimasta, per le sue vicissitudini personali così legata alla sua storia.
La ricreava con quel “barocco trinato”. Mi piaceva.
Ricordo poi le sue esperienze sulla fabbrica anch’essa cosi incombente nella visione quotidiana e le spiagge popolate d’umanità viva.
L’esperienza del gruppo degli “Irrazionali” gli servi a liberarsi da certi accademisti.
Trovò cosi una maggiore sintesi e sicurezza nel colore e nell’invenzione delle immagini.
Un agire continuo che lo ha condotto verso il lavoro attuale. Serio, calcolato, sicuro.
Esso rappresenta la somma di tutto il suo sapere letterario e pittorico. Ha trovato una fusione tematica che si confà felicemente alla tecnica pittorica.
Nella pittura di Paolo Bottai il contenuto si rifà ad una forma archetipa.
Nelle forme alchemiche l’essenza dei contrasti quali: odio -amore, felicità-dolore, giorno-notte, alba-tramonto, è sintetizzata dall’ermafrodito. Maschile e femminile rappresentano le mutazioni continue che avvengono nella vita per mezzo dei contrasti e possono sconvolgere la materia, come l’acqua che può trasformarsi in vapore o congelare. Sono forze in opposizione, negative o positive.
Tutto quello che è maschile rappresenta il sole, la forza, il calore, lo splendore, la durezza, il caldo.
Il femminile rappresenta la luna, l’acqua, l’opaco, il morbido, il freddo, la timidezza.
Sono queste diversità che creano vita movimento dei contrasti.
Per vivere tutto si muove altrimenti è morte.
Tutto questo si ritrova nella pittura di Paolo Bottai, ciò che può sembrare un magma si svelerà un mondo “microcosmico”. Un mondo animale, vegetale, “microbico” ampio, però, nel suo raccontare. Quante volte nella storia dell’arte sono stati dati giudizi affrettati. Critiche iniziali negative su opere che poi, col tempo, sono divenute di valore per la qualità ed il rinnovamento che esse portavano nel mondo dell’arte. (1)
Accostiamoci all’arte di Paolo Bottai con spirito riflessivo, valutiamo il lato tecnico dell’esecuzione. Osserviamo il racconto che ci propone. Il colore, la vita che brulica dentro.
La Luce contro le tenebre, il male contro il bene, gli aspetti negativi e positivi della vita.
Il tutto è coinvolgente.
Da tre anni lo seguo assiduamente incoraggiandolo nella sua difficile ricerca.
Per arrivare a questo punto ha letto di tutto trattati psicologici, testi di critica d’arte, saggi letterari e filosofici. La sua pittura, lo ripeto, non ha niente di convenzionale.
E’ veramente qualcosa di nuovo che va incoraggiato perché possa raggiungere pienamente quello che oggi dobbiamo considerare decisamente interessante.
(1) Nota dell’autore: uno per tutti Picasso con la sua opera conosciuta come “Les demoiselles D’Avignone” oppure Matisse che nella prima mostra dei suoi quadri ebbe giudizi negativi e l’appellativo di “fauve ” (belva).
Andrea Baldocchi
Paolo Bottai è artista poliedrico che sceglie di vivere l’uomo e la natura – i sentimenti profondi, le passioni travolgenti e il vento caldo della Toscana, che lo sfiora dolcemente mentre dà sfogo alla propria vivida immaginazione.
Carattere schivo ma impulsivo quando discetta di arte, Bottai agguanta l’olio, la matita, il pastello senza distinzione; è un libero pensatore, senza schemi e senza limiti.
Se si pensa a Paolo Bottai, dobbiamo fermarci e riflettere che l’uomo che abbiamo di fronte è un artista che non si fa ingabbiare da nessuno, che non si veste di abiti altrui, anzi è uomo che strappa le convenzioni per dedicarsi alla ricerca pura, come deve essere.
Abbiamo spesso discusso, nei nostri incontri, di arte contemporanea e ho sempre avvertito di avere davanti a me una persona talvolta malinconica ma brillante, intelligente e pronta a mettersi in gioco per affrontare nuove esperienze. Esperienze che vanno dal vaso di fiori delicatamente – ma non graziosamente – reso plastico da sapienti tocchi a pastello a opere più complesse in cui compaiono miriadi di piccolissimi animali che coprono dinamicamente l’intera tela, quasi a testimoniare la grandezza ma anche la complessità del mondo in cui viviamo.
Ma Paolo Bottai non è solo questo.
Bottai – nella sua fase ultima – guarda oltre e trova un nuovo colore e nuove forme.
Le tinte si fanno più accese, in cerca un contrasto che crei un assieme in grado di colpirci immediatamente in uno scatto di velocità insolito e accattivante, forse memore questo di certe realtà pittoriche statunitensi contemporanee. Fioriscono animali stranissimi e figure danzanti.
Un tripudio di colori aggressivi e di movenze innaturali – a riprova che l’artista deve esplorare il mai visto e anche il non vissuto, per dare rilievo alla propria unica e irripetibile sensibilità.
Quella sensibilità che Paolo Bottai esprime con furore e con una tempra d’uomo fortissima.
Andrea Baldocchi
Lo sfondo dei dipinti di Bottai diviene progetto unico nel quale appare evidente la rinuncia al tentativo di rappresentare l’oggetto reale logicamente composto.
La mano dell’artista assegna a sé la proprietà stessa della natura; Bottai assorbe i colori e i profumi della terra in cui vive per lasciare trasparire tonalità e intensità che deformano le singole composizioni.
Da sembrarci quasi delicate pagine di un libro dal quale emerge una complessa e ispirata narrazione. Egli si trasforma in raffinato illustratore, capace di sviluppare un personalissimo testo poetico proposto attraverso una calibrata distribuzione sulla tela di pesi e contrappesi che, sotto forma di ataviche creature della fantasia, festeggiano un suggestivo carnevale di forme. I diversi elementi raffigurati dimostrano che la rappresentazione realistica del mondo perde importanza poiché in primo piano viene collocata l’intima struttura insita nelle realtà oggettive,ossia il concetto di linea, l’impronta coloristica.
Bottai trova, alfine, un linguaggio che sa tradurre l’osservazione della natura e la magia degli oggetti in un ben definito sistema di segni e di colori. Le cose tutte interagiscono tra loro per combinarsi in un universo di orme e figure indipendenti nel quale animali allusivi, sintetici grovigli di momenti anatomici, tracce sopite di antiche esperienze artistiche compongono una fitta trama di significati che non sono comunque risultato diretto di un articolato amalgama ma conseguenza della comprensione dell’osservatore.
Bottai conduce, cioè, linee primitive ed essenziali che smarriscono la funzione di contorno per dischiudere, piuttosto, forme che si mutano in abili e repentine movenze in grado di guidare lo sguardo dello spettatore.
Pierluigi Carofano
Per comprendere appieno le opere di Bottai, sia da un punto di vista della forma che del significato, è utile conoscere la teoria della rappresentazione avanzata da Ernst Gombrich, secondo cui ogni immagine si basa su ciò che si conosce e non su quello che vediamo.
Per il noto semiologo viennese le raffigurazioni sono “chiavi capaci, per puro caso, di aprire certe serrature biologiche o psicologiche, altrimenti detto, sono falsi gettoni – capaci, tuttavia, di far funzionare il meccanismo se introdotti al posto dei gettoni veri” (A cavallo di un manico di scopa, Torino 1971, p.23).
Tali concetti gestaltici ci consentono di individuare il fondamento su cui si basa la ricerca artistica di Bottai, ovvero il marcato, per non dire ossessivo, interesse nei confronti dei fenomeni espressi dall’attività psichica.
Significativi a questo proposito sono taluni titoli posti in calce ad opere quali Dal subliminale (1997), Subliminale (1998) e soprattutto Pensando a Freud (1998).
Osservando in dettaglio queste opere, con lo spirito del filologo più che del critico d’arte, è possibile affermare che il collegamento della psicologia con l’arte di Bottai avviene su un piano sperimentale piuttosto che filosofico. Lo stesso autore conferma la natura essenzialmente empirica della sua ricerca affermando che “quando comincio a pitturare mi lascio andare ad una sorta di abbandono creativo facendo fluire, il più liberamente possibile ricordi, memorie, suggestioni, timori, paure, ansie, angosce, pensieri”.
Si tratta di riflessioni legate in modo particolare a tele come Il bene ed il male (1997), Pensieri (1998), Incomunicabilità (1998), Tanti dubbi poche certezze (1999), Incubi (2000), Insicurezza (2000).
“Agisco sulla memoria senza curarmi molto delle distorsioni e delle sintesi che essa produce. Cerco di indagare dentro di me attingendo da un coacervo d’esperienze e di sapere che risulta affastellato. Quest’operazione produce una polluzione incoerente che non cerco di dominare quasi che questo momento funga da azione liberatoria dai condizionamenti e dalla coerenza che la ragione ci impone”.
Tali affermazioni si riallacciano chiaramente al concetto di Einfuhlung secondo cui la proiezione di contenuti emotivi fluisce nelle forme – precipuamente nel caso di Bottai – pittoriche ove l’immediatezza della formulazione dell’esperienza interiore è parallela alla sperimentazione dei mezzi figurativi – materia, colore – portatori anch’essi di realtà da sperimentare.
Dice ancora Bottai: “Il punto di partenza è la tela od altro materiale (compensato, faesite, multistrato, etc.), in genere preparato con un fondo bianco a base di cementite, ducotone o smalto a seconda delle esigenze di resa. Questa superficie deve essere resa viva e per farlo preparo un composto a base di gomma lacca e alcool che viene distribuito uniformemente sulla superficie trattata in adeguata quantità. A questo punto intervengo sulla stessa con panni che sono di varia consistenza e sostanza (cotone, tela di fiandra, velluto, jeans). L’uso di tessuti diversi è motivato dal fatto che ognuno rilascia un’importanza caratteristica sull’impasto. L’intervento di tamponamento non è causale, ma anzi costituisce la prima importante fase creativa. La predisposizione dei panni in un certo modo, la diversità della resa in termini di disegno, la diversa qualità assorbente insieme alla scelta di applicare l’intervento nei punti topici del dipinto ne sono la testimonianza. Terminata la prima fase, segue un distacco che può durare anche diversi giorni.
La riflessione mi induce ad individuare il carattere d’insieme dell’opera ed a far emergere le cose che già vi sono dentro o che a me sembra vi siano. Vi è quindi una scelta dell’uso dei toni dei colori e della loro distribuzione armonica, tenendo conto della complementarità degli stessi”.
Si può dunque parlare, in base alle procedure tecniche di Bottai, di una vera e propria solidarietà tra le sensazioni più recondite dell’artista ed i mezzi tecnici adottati che, grazie all’azione del tempo pittore, si trasformano spontaneamente in una sintesi di forma/colore. L’artista esprime immagini, come dire, primitive e vitali derivate da risorse mentali di mostri surrealisti che egli epura dalla violenza contenutistica, immergendole nei quattro elementi aristotelici.
Il linguaggio fantastico, reso da Bottai con minuzia calligrafica, rifugge epiteti descrittivi come ad esempio pittura surrealista od onirica, evidenziando un tipo di ricerca per molti versi affine all’espressionismo astratto degli anni Quaranta.
Dinanzi al microcosmo del maestro in cui simboli e personificazioni si intravedono dietro linee vorticose, sinuose, l’osservatore oscilla tra l’ammirazione e una sensazione di inquietudine che gli suscita “allusioni più conturbanti che calmanti” (James Thrall Soby in Arte moderna americana, Milano 1957, in merito alla pittura di Pollock).
Nei lavori di Bottai si specchiano elementi tra loro contrastanti come l’esigenza del particolarismo e l’ansia dell’universalità, la tendenza ad un descrittivismo analitico e nello stesso tempo il fascino dell’astrattismo, bisogno di norma ed inquietudine, smarrimento “dell’identità nell’andirivieni tenebroso dei nostri giorni” (Bottai).
Il percorso stilistico dell’artista è frutto di un lungo lavoro filologico compiuto su testi psicanalitici, di critica d’arte, di saggi letterari e filosofici, di visite a musei e gallerie che hanno fatto approdare Bottai ad una esauriente, seppur complessa, comprensione della propria attività subconscia che ben si accorda con i procedimenti tecnici.
Mi pare significativo chiudere questa breve introduzione con il giudizio sincero espresso da un vero maestro dei nostri giorni, Sirio Bandini, sulle opere di Bottai: “accostiamoci all’arte di Bottai con spirito riflessivo, valutiamo il lato tecnico dell’esecuzione, osserviamo il racconto che ci propone. Il colore, la vita che brulica dentro, la luce contro le tenebre, il male contro il bene, gli aspetti negativi e positivi della vita. Il tutto è coinvolgente”.
(*) Pierluigi Carofano (1964), storico dell’arte, insegna presso la Scuola di Specializzazione in Archeologia e Storia dell’Arte dell’Università degli Studi di Siena. Si occupa di fonti relative alle tecniche artistiche dell’età barocca e di pittura toscana del Cinquecento. Collabora con le riviste “Antichità viva”, “Prospettiva”, “Apollo Magazine”, “La Diana”, “Rivista d’Arte”.
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